mercoledì 14 maggio 2008

il coltello nell'acqua



inizio anni ‘90.
Un grande paese, splendido. Dove fa molto freddo. Si innamorano in maniera sudicia, leggera, scoprono il loro amore reciproco. Decidono come molti di vivere insieme, sono dei nomadi. Ha tutte le parvenze di un amore giovane, è fresco infatti ma è minato da tutto il resto, da quello che non amano, da quello che ci rode da fuori, è vero perché senza parlarsi si capiscono, non serve l’arma dello sguardo, no, con loro no.
Inizio ventunesimo secolo.
Arriva il temporale e fa caldo, molto caldo. La loro vita è diventata raccontare la loro vita.
Di notte, spesso, uno immagina il dopo, quando si sveglierà. Io lo immaginavo così.
Quello che fa non lo consente, il suo perché di vita, la sua unica ragione non lo consentirebbe, tutti ridono forse come vent’anni fa se solo ci provasse.
Un muro di suoni ripetuti che arrivano dal mare, come lei che si muove appena finito di amarti. E il resto monotono, implacabile come un duro che non perde un colpo, rispettato da tutti, sì. E appena lo vedi, dici non è possibile, non lo ricordo così. La mascella è contratta, si muove a scatti, impazzita, il punto fisso davanti a sé è il bersaglio da fucilare, da eliminare subito. La lingua dentro la bocca si muove, rimargina le ferite, e le guance si sgonfiano e si riempiono mentre s’avvicina: un passo avanti e due indietro. Chi se ne frega, è insicuro ma tutto può aspettare sembra dirci. E poi ci sciogliamo perché ci parla di uno sporco lavoro da fare, d’un omicida con voce d’angelo. Una profezia da pathos, intensa ed evocativa. Lascia senza fiato, tutti soffrono di claustrofobia e cenere cade per terra. La preparazione ad un combattimento. E il suo subire poi. Il suo non sapere fare nient’altro se non raccontarci tutto come stanno le cose, e lasciar giudicare chi è il colpevole e la vittima. È lei, la vittima.
La guarda nei momenti in cui è più importante il silenzio, quello che non fa, e tutti aspettano voraci. E lui livido e scuro in volto, abbassa il volume del suo bastone, della sua carezza, il suo strumento d’una vita. La fissa a lungo, in zona franca. E lei a pochi passi, la timidona, non piace è bruttina e grassoccia, ma ti uccide se ti guardasse, non ci tiene a fulminarti questo è certo. Batte il ritmo della vita di lui e noi tutti rabbrividiamo in silenzio, muti come campane a lutto per le vite degli altri. Lui la esalta, la minaccia, la vuole magari consolare, vuole dimostrare qualcosa. Ma lei nulla.
E lui ci colpisce finalmente: tutto sembrava calmo, e invece. La scortica la chitarra, la divora, qualcuno ride, qualcun altro no, sta zitto e non capisce. E poi nulla da capire. si guarda spaesato attorno, in preda ad un virus violento di realtà. E lei ancora nulla da fare, nemmeno un cenno. E poi si calma. Ride dice qualcosa. Non tutto è così, magari siamo solo noi un po’…lei ride e per un attimo si incrociano. Ma non c’ è tempo perché la canzone dopo parla dei fiori del sole. E tutti muovono la testa, sorridenti.

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